Recensione al libro Gli Stati Uniti in mezzo al guado
La recensione al libro di Stefano Rizzo di Cesare Protetti uscita su “Italia libera”.
LA SINDROME DEL PRESIDENTE Usa, Joe Biden, assomiglia a quella dell’asino di Buridano. Ci sono tre covoni di fieno (non solo due, come nella favola) e l’asino vorrebbe mangiarli tutti e tre. I covoni sono molto lontani l’uno dall’altro, ai tre capi del mondo, ma l’asino ha gambe forti e buone mascelle e se solo si decidesse potrebbe papparseli tutti, o almeno uno. Ma non sa decidere quale addentare per primo: rimane immobile e finisce col morire di fame. Povero asino! E povero Biden. I tre covoni di fieno – scrive Stefano Rizzo nel suo ultimo libro “Gli Stati Uniti in mezzo al guado” (Manifestolibri, 2023, 16 euro) sono tre paesi in tre parti lontane del mondo: l’Ucraina, l’Iran e Taiwan. Tre gravi crisi diplomatiche che si sono manifestate contemporaneamente a un anno dall’inizio della sua malferma presidenza. Senza contare l’ingloriosa fine della presenza Usa in Afghanistan, dovuta in gran parte alle informazioni inesatte della Cia che non gli hanno permesso di portare in salvo in tempo gli afghani che avevano aiutato gli statunitensi.
Sono analisi che compaiono negli ultimi tre capitoli di un libro che copre il primo biennio della presidenza Biden (3 novembre 2020 – 8 novembre 2022) e che Rizzo analizza in tre capitoli fondamentali intitolati rispettivamente: La politica estera dell’impero, La guerra e la lotta al terrorismo, La guerra di Putin. Nel suo primo biennio da presidente Biden si era proposto di superare l’unilateralismo, le contrapposizioni, le animosità e la violenza del quadriennio trumpiano e riportare gli Stati Uniti sulla strada del multilateralismo e dare al paese maggiore giustizia sociale. E invece non è andata proprio così. I repubblicani, in maggior parte, hanno continuato a negare la legittimità del nuovo presidente, arrivando persino ad assaltare il Congresso, mentre la nuova amministrazione si è dimostrata timida e inefficace, incapace di realizzare il proprio programma, soprattutto a causa dell’ostruzionismo repubblicano. E tutto questo mentre l’inflazione cresceva, l’epidemia di Covid si trascinava e scoppiava la guerra di Ucraina. Alla guerra di Putin gli Stati Uniti hanno cercato di fare fronte con ingentissimi invii di armamenti al paese aggredito. E poi sono arrivate le elezioni di midterm che nelle previsioni dei più avrebbero dovuto rappresentare una sonora sconfitta per il partito al potere. E invece i democratici hanno tenuto: hanno perso di misura la Camera, ma hanno confermato – rafforzandolo un po’ con la vittoria in Georgia – il controllo del Senato. Ora si apre di nuovo la speranza di un cambiamento. Ma gli Stati Uniti, bloccati dal loro sistema istituzionale e dalla violenta contrapposizione nel paese, sono ancora in mezzo al guado e nessuno può dire se e quando ne usciranno.
Stefano Rizzo, funzionario parlamentare e giornalista, ha insegnato relazioni internazionali all’Università la Sapienza di Roma. Tra i suoi libri: Ascesa e caduta del bushismo (2006), La svolta americana (2008), Teorie e pratiche delle relazioni internazionali (2009), Le rivoluzioni della dignità (2012), The Changing Faces of Populism (2013). È autore anche di alcuni romanzi, l’ultimo dei quali è Melencolia (2017). Questo libro, una guida preziosa per capire quello che sta succedendo nell’Impero americano, raccoglie articoli di Rizzo pubblicati su alcune riviste online – tra le quali Italia Libera, Terzogiornale, Ytali, il sito del Crs (Centro per la riforma dello Stato) – scritti a ridosso degli eventi, con alcuni aggiornamenti fino ai primi di ottobre 2022 per informare il lettore degli eventi successivi alla loro stesura. Sono articoli organizzati cronologicamente in capitoli sui temi più salienti che la nuova presidenza si è trovata ad affrontare, spesso senza risolverli, in questi due anni. E sono impressionanti per la lucidità delle analisi del presente e dell’immediato futuro, come si desume dalle date di pubblicazione, opportunamente riportate in fondo ad ogni paragrafo-articolo. E di questa lucidità di analisi Rizzo deve ringraziare soprattutto la sua grandissima preparazione sulla storia e sul sistema americano. L’autore ringrazia, comunque, anche Pino Coscetta (già caporedattore del nostro giornale) e Stefano Petrucciani per i loro suggerimenti; Ida Domijanni per la sua competenza di americanista e per avere creduto in questo lavoro.
Raccomandiamo al lettore anche l’interessante Introduzione di Luca Celada, “Sleepy Joe contro la storia”, che dà atto a Rizzo di aver saputo dar conto efficacemente, «con interventi di rara nitidezza, di questo turbolento frangente vissuto da questo paese complicato, così unico e pure così inestricabilmente collegato alle tendenze e alla cultura politica dell’Occidente tutto. Una superpotenza che affronta un frangente critico, potenzialmente terminale, della propria storia». Un paese minato alla base dal trumpismo, il semi-fascismo di cui ha parlato Biden, che emerge all’intersezione di una «strategia reazionaria iniziata con l’alleanza con i settori più intransigenti dell’integralismo evangelico, la progressiva fanatizzazione della destra e infine la forza eversiva di un populismo torvo che ha trovato il proprio demagogo e condottiero. L’effetto cumulativo è una tensione disgregatrice mai vista dai prodromi della guerra di secessione».
Il viaggio di Stefano Rizzo in questa America convulsa parte dal novembre 2020 e dal tentativo, nel gennaio 2021, di sovvertire l’esito delle elezioni e impedire, per la prima volta nella storia della nazione, il pacifico avvicendamento del governo. Il libro ripercorre le tappe che seguono il voto di novembre. Lo spoglio esasperatamente lento ed incerto delle schede nella manciata di stati “in bilico”, la confutazione dei risultati avversi da parte del presidente uscente che apre un surreale interregno: i 78 giorni in cui Trump imbastisce la sua Big Lie, la Grande Bugia, sulle «elezioni rubate», che conduce dritto all’insurrezione del 6 gennaio 2021. «I capitoli che Rizzo dedica alla vicenda – scrive Celada – sono al contempo riepilogo e prezioso prontuario delle arcane norme elettorali americane e della idiosincratica complessità delle regole che governano la democrazia intermediata, istituita ai tempi dell’illuminato latifondismo dei padri fondatori per attutire la volubilità del popolo».
Rizzo, nelle oltre 200 pagine del libro, analizza molti aspetti dello squilibrio politico e culturale in cui versa la superpotenza occidentale che sono da ricondurre proprio agli anacronismi della carta costituzionale e alla sua strumentale venerazione come testo sacro e immutabile. E intanto «la congiunzione fatale di integralismo religioso e politico nella Corte suprema» si esplicita in sentenze, come quella che ha abrogato il diritto costituzionale all’aborto, che hanno effetti tellurici sul primo biennio Biden e le cui conseguenze politiche a lungo termine devono ancora essere misurate fino in fondo.
Il libro, quindi, non è un atto di accusa contro un presidente assurto quasi ottuagenario alla Casa bianca. Schernito come “Sleepy Joe” dall’avversario e non particolarmente amato dall’ala progressista del suo stesso partito, Biden si è insediato dopo un tentato golpe, nel mezzo di una pandemia, trovandosi quasi subito a chiudere ignominiosamente una guerra sbagliata in Afghanistan e a far fronte al nuovo conflitto per procura con la Russia in Ucraina. E tuttavia, dagli atti concreti di questo primo biennio non possiamo non notare una svolta nella politica estera dell’impero Usa rispetto all’isolazionismo trumpiano, quello dell’America First, da difendere contro gli immigrati provenienti da shit-hole countries (paesi di m**da). Quello del disprezzo nei confronti degli alleati europei e di “comprensione” nei confronti degli autocrati di tutto il mondo; quello dell’indifferenza per le violazioni dei diritti umani e le regole delle organizzazioni internazionali. La presidenza Biden è invece contrassegnata da un nuovo movimento del pendolo verso l’interventismo. America is back, l’America è ritornata: e le prime decisioni di Biden vanno sicuramente in direzione di un ruolo più assertivo: verso la Russia di Vladimir Putin, cui Biden ha comunicato che l’America non è più disposta a «inchinarsi supinamente» e verso la Cina di Xi Jinping, invitata a rispettare l’indipendenza di Taiwan, l’autonomia di Hong Kong e a rinunciare alle sue rivendicazioni nel mar cinese meridionale.
Soprattutto Biden – con una netta inversione di rotta rispetto agli anni vergognosi della presidenza Trump – ha ribadito il tradizionale ruolo di difesa dei diritti umani degli Stati Uniti: ha condannando il colpo di stato in Myanmar, lo sterminio degli Houthi yemeniti da parte dell’Arabia Saudita, la persecuzione degli Uiguri da parte del governo cinese. L’America è ritornata, ha promesso Biden, e farà sentire la propria voce.